Storie di notte, storie di donne

Nairobi, 20 Aprile 2020

Il sole scende rapido ed il buio si diffonde in un attimo, toglie i colori dalle strade e dai vicoli. Più veloce del tramonto diventa il cammino di A.M., non sa se ha più paura del virus o del coprifuoco. La sera prima le sue vicine di baracca sono state malmenate dalla polizia perché erano rimaste fino a tardi sulla via per cercare di vendere ancora qualcosa. Ha chiuso in fretta il chiosco di verdura, e tenendosi il pancione di 7 mesi, tra un pozzanghera e l’altra raggiunge casa in un vicolo di Mathare Valley. La pioggia ha riempito il bidoncino collegato alla lamiera del tetto. A.M. tira un sospiro di sollievo che non le toccherà camminare al buio ancora fino al rubinetto pubblico per aver acqua fino al mattino. La figlia di 8 anni a casa da giorni da scuola apre il lucchetto della porta di legno. A.M. si toglie la mascherina rossa con fiori gialli, ricavata da un pezzo di stoffa avanzato di un vestito che aveva fatto per la bambina. Cena di fagioli e spinaci e poi spegne la candela ed inizia una altra notte fragile di donne sole. Il sonno è subito agitato. Verso mezzanotte le iniziano dolori come contrazioni da travaglio. Ma non è troppo presto? Inizia a sanguinare. Ma non può muoversi. C’è il coprifuoco. Con risparmi di mesi si era comprata un cellulare da quando la bambina uno anno fa era stata malata. Ha tenuto sempre il numero della pediatra, una donna giovane che non si risparmia, che le aveva salvato la bambina da una brutta polmonite al nostro ospedale. La dottoressa si sveglia subito e le organizza l’ambulanza. Autista ed ostetrica sfidano le strade deserte e passano i posti di blocco e riescono a recuperare la paziente. Pressione alta, battito fetale diminuito, entra direttamente in sala operatoria. A.M. viene accolta dal team di guardia. Tutte donne, ginecologa, infermiera, anestesista, pediatra. Dopo poco nasce una bimba di 1 chilo e due, piange subito. Messa subito a contatto del corpo della madre. Poi in incubatrice.

Neanche un’ora ed il telefono dell’ospedale squilla ed una voce di donna disperata chiede l’ambulanza per la figlia dal profondo di un’altra baraccopoli. Troppo tardi. L.K., 13 anni, si è impiccata al tetto della baracca. Violentata dal compagno della madre in queste notti virali di confini ristretti senza vie di fuga, di muri di cartone, di corpi compressi in case di fango, di barbarie domestica. L’ambulanza rientra ancora in piena notte. l’autista non alza lo sguardo e si mette subito a disinfettare il veicolo. L’infermiera scende con gli occhi pesanti sorretti dalla mascherina. Va a stendersi su una brandina di una stanzetta del pronto soccorso. Ma la notte non è ancora finita. Dopo un’ora di cammino in vie secondarie per evitare le pattuglie, F.H. si presenta da sola alla maternità. Non ha mascherina, ma il chador ed il velo che la proteggono. Da ore in travaglio. È al terzo figlio. Due cesarei i primi due. Bisogna fare il terzo. Ma lei F.H. deve avere il permesso del marito. Per qualsiasi cosa, tanto più per un’operazione. L’ostetrica cerca di convincerla. Niente da fare. Il marito è fuori Nairobi. Non si trova. Il battito del bambino rallenta, si fa intermittente. Non si sente quasi più. Acconsente. Troppo tardi. Il cordone era intorno al collo. Niente da fare. Lo ha perso. A volte si ha l’impressione che in questa parte di mondo ci si abitui a tutto. Alle epidemie ed al coprifuoco, alla fame ed alla violenze quotidiane. Una tradizione millenaria che pesa sulle donne. Difficile superare la diseguaglianza ed affrancarsi da gerarchie governative, religiose e familiari. 

Trovo alle 6.30 del mattino la collega pediatra provata, nel giardinetto dietro la guest house dei medici. Si sta fumando una sigaretta di nascosto. È stata una notte lunghissima. Notte di donne fragili, di donne perse, di donne forti. “Temevo che non sorgesse più l’alba. Ma poi la luce è arrivata. Ancora una volta. Sono sicura che la neonata di un chilo e due ce la farà. È donna. È forte. Al solito secondo la tradizione ci metteranno settimane a deciderne il nome, per cui ho deciso di chiamarla Alba, solo per questi giorni in incubatrice, solo per me”.

 

Questo è un estratto de “La forza di Ippocrate” a cura di Gianfranco Morino, una serie di racconti sul COVID-19 a Nairobi disponibile ogni settimana sul sito di World Friends.