Rose
Era l’ottobre del 1963 e Bob Dylan, oggi Nobel per la Letteratura, scriveva “The Times they are a-changin” (I tempi stanno cambiando) che apparirà nel suo LP omonimo del 1964. Anche Rose, direttrice amministrativa al Neema Hospital di Nairobi, pensa, cinquantacinque anni dopo, che “The Times they are a-changin”.
Le contraddizioni di un continente
La versione di Rose sulla parità di genere è complessa e, forse, assai più contraddittoria delle altre. In questo senso Rose rappresenta bene l’Africa che sta cambiando, un intero continente che oscilla tra tradizione e nuove tecnologie, tra povertà assoluta e Resort a 5 stelle, locali d’avanguardia con musica etno-jazz-rock rilanciata su youtube e Instagram, sentiti gospel riadattati in chiave pop e danze tribali, guaritori del villaggio riveriti e ascoltati e avanzatissima telemedicina con copertura di rete telefonica a livello d’avanguardia europea, molteplici chiese cristiane con influenze animiste e intellettuali laici e progressisti, seguaci di Cristo con due mogli e larga prole e giovani donne autonome e indipendenti.
La cinquantenne Rose, chiamata anche Margreth, ma a lei piace Rose, tre figli, Melissa, Alex, Austin, ha sposato, quand’era trentenne, un businessman che ha studiato giornalismo e lavora nel campo dell’editoria. Vivono in una casa in affitto nel Central District di Nairobi ma stanno costruendo una casa tutta loro.
Rose ha fatto carriera al Neema hospital, è apprezzata e rispettata. Ha un ruolo direttivo e ha sotto di sé sia donne che uomini ai quali deve dare indicazioni e incarichi. Sulla porta del suo piccolo ufficio con finestra, nel padiglione dell’Amministrazione, c’è scritto “Matron”, direttrice. Nell’anticamera sono stati sistemati la stampante-fotocopiatrice e l’angolo per il tè e il caffè, instant coffee. Il piccolo locale dove Rose ha la base in ospedale, perché spessissimo è in giro per i padiglioni a parlare con i dipendenti, è in gran parte occupato dalla scrivania e dal computer. Sulla parete un crocifisso. Rose è credente, frequenta la chiesa e ama i gospel come moltissimi in Africa.
La tradizione biblica
Non stupisce quindi, nella “versione di Rose” sulla parità di genere, il riferimento iniziale alla Bibbia: «Se guardiamo i valori tradizionali e biblici, l’uomo è in cima. Le generazioni stanno cambiando, e vorrei che si potesse sentire che siamo sullo stesso piano, ma questo non potrà mai accadere. Perché i valori che ci sono stati trasmessi quando eravamo giovani dicono che l’uomo è sempre il capo». Rose per parlare con il giornalista occidentale e per le fotografie che saranno fatte si è consultata con il marito. Al contrario di altre donne, preferisce che tutto ciò che riguarda la vita familiare e privata non faccia parte dell’intervista e dell’articolo. Nessuna ripresa a casa, in famiglia. Tranne le poche indicazioni qui riportate, sugli aspetti personali Rose non vuole si faccia cenno, il marito non gradisce. Lo esprime con massima chiarezza e gentilezza. È invece totalmente disponibile per quanto riguarda la sua vita lavorativa.
E così Rose dopo aver messo “l’uomo a capo”, continua il ragionamento: «Però può succedere che ci vengano date delle responsabilità che ci mettano in una posizione superiore. E allora cosa fai? Fai il tuo dovere, ma rispettando l’uomo. Se posso fare un esempio in famiglia, anche se magari guadagno di più di mio marito questo non mi rende superiore, rimane lui quello superiore, il capo della famiglia».
Rose vuole precisare meglio: «L’uguaglianza dipende da come uno la vuole prendere. I tempi sono cambiati, la vita sta cambiando, al giorno d’oggi l’istruzione è uguale, vediamo anche delle donne che vanno più avanti degli uomini nell’istruzione, cosa che non succedeva prima». Si sofferma, riflette: «Ma per quanto vogliamo essere uguali non potremo mai esserlo. Anche se i tempi cambiano dipende sempre da cosa voglio che sia la mia vita». E Rose continua: «Non lotto per essere “uguale” a qualcuno, o io da femmina per essere uguale ad un maschio: cosa voglio ottenere – potere, un nome, la stima? – dipende. Ma non potremo mai essere uguali, perché la vita è così».
Parlando dell’infanzia e della sua istruzione per poi arrivare a ricoprire il suo ruolo nel lavoro, Rose racconta che i suoi genitori, un insegnante e una contadina, l’hanno tirata su “come un maschio”. Intende senza differenze rispetto ai maschi. E lei e suo marito, quel marito che l’ha supportata sempre con i bambini per permettere a lei di lavorare e far carriera, non fanno differenze tra Melissa, Alex e Austin. E parlando di lui aggiunge guardando negli occhi l’interlocutore: «Noi lavoriamo insieme».
Giraffe e grattacieli
La parità impossibile su cui ragiona Rose e la sua concreta conquista di parità nel campo dell’istruzione e del lavoro sono come quella fotografia che viene propagandata dai siti del turismo per Nairobi. È una inquadratura scattata dal Nairobi National Park, e che ritrovate sul sito del Parco e di tante guide come l’African City Guide: una giraffa in primo piano nella savana e sullo sfondo i grattacieli del Central Business District di Nairobi. Il Nairobi National Park, creato nel 1946, dista solo 7 chilometri a sud del centro della capitale keniana, mentre i moderni palazzi sono frutto delle trasformazioni degli anni successivi all’indipendenza (1963) e dello sviluppo degli anni Duemila. Il contrasto è evidente.
Si tratta di quelle trasformazioni che hanno coinvolto le grandi aree urbane dell’Africa che sta cambiando: Nairobi come Lagos, Dar Es Salaam, Accra, Johannesburg o Città del Capo. Una borghesia nascente, quella i cui figli vanno ai concerti del cantante gospel nigeriano CalledOut, milioni di visualizzazioni su youtube per il suo “My Prayer”, una notte di settembre al Kenya National Theatre. Proprio di fronte allo storico hotel novecentesco Norfolk, oggi lussuoso albergo Fairmont in gran parte ricostruito dopo le bombe del 1980 dei terroristi palestinesi; quella dimora dei ricchi cacciatori bianchi che ospitò il presidente Usa Theodore Roosevelt o scrittori come Ernest Hemingway o Karen Bilxen e dove girarono anche delle scene del film tratto dal suo romanzo “Out of Africa- La mia Africa”. Oggi gli ospiti sono a prevalenza cinese, i nuovi protagonisti della trasformazione, ma anche ricchi africani.
Fotografie del cambiamento
E che Nairobi, “il posto dell’acqua fredda”, ben oltre i 1600 metri di altitudine, sia in continuo cambiamento e sia ricca di contraddizioni la raccontavano una manciata di fotografi, africani e non, al VII workshop “per una visione della città”, il Rising Fast Nairobi. Proprio nel Westland della capitale dell’Africa orientale dai 4,5 milioni di abitanti, in quello strano luogo di eventi, enclave di pub, locali, negozi e ristoranti chiamato The Alchimist. Anch’esso un mix contraddittorio frequentato soprattutto da bianchi, i cosiddetti “expat”, e due volte accusato di razzismo verso i non caucasici (“accettano solo indiani e wazungus”, tweettavano alcuni), ma che non rinuncia ad un ruolo culturale di “hub creativo” che dialoga con il mondo. E così sotto gli scatti di fotografi del Burundi, Uganda, Nigeria ma anche di inglesi e australiani scorrevano le immagini della “compulsione del cellulare”, dell'”emergenza rifiuti”, di moda, acconciature e shopping. Tutto quello che fa di Nairobi una città così simile alle metropoli occidentali.
Non solo: apparivano anche le immense disuguaglianze e insieme la dignità delle persone, di coloro che aprono ogni dannata mattina la porta della misera baracca, pantaloni con riga, pettinatura accurata, abito lindo, scarpe lucidate. Senz’acqua, né servizi privati, nel fango, ci chiedevamo noi fortunati figli dell’Occidente, come è possibile ogni santo giorno? I misteri degli slum, senza voler affatto dimenticare od omettere la criminalità, le violenze, la corruzione, la cattiveria umana, le preghiere e i lamenti. Nairobi contraddittoria, con i suoi centinaia e migliaia “Car wash” per far splendere sempre la macchina nelle strade terrose e polverose della metropoli. O quelle piste ciclabili perfette appena realizzate a fianco di strade piene di buche e senza fogne. Scopriremo mai quello sguardo che l’africano per prima cosa dà alla scarpa per capire chi sia l’interlocutore di turno?
E così anche la “parità impossibile” e “Il tempo del cambiamento” annunciati da Rose sembrano, a prima vista, contraddittori. Ma se lei volesse a suo modo dirci che la diversità è un valore da conservare e che il cambiamento è nelle condizioni di partenza, quelle che stanno mutando e diventando pian piano sempre più uguali?
Maurizio Paganelli
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