Risper e Gladys

La versione di Risper e Gladys: Studiare vuol dire volare

Risper e Gladys intonano un canto religioso in swahili: Dio solo sa cosa sto attraversando

 

Un vento a raffiche scostanti scuote la vasta piana in terra Maasai dove un gruppo di bassi edifici, metà in muratura e metà in lamiera, formano il complesso scolastico di Osupuko, Kajado West. È viaggiando a sud ovest di Nairobi, superata Dagoretti, che si raggiunge Ngong, poi occorre ancora fare chilometri per approdare in questo tavoliere surreale contornato da colli dove lo sguardo vaga: laggiù, più in alto, le pale eoliche, sullo sfondo un grande serbatoio con pompa idrica, più a destra si intravedono due chiese con la croce cristiana, una dove fa sosta anche una clinica mobile. Alle spalle passa la strada che va verso il villaggio, oltre la grande cisterna, più avanti nella larghissima distesa, una sorta di campo di calcio, a sinistra, recintato, dove si vedono le casupole dei due bagni, c’è il campo con alberi da frutta, dove si staglia un banano, e l’orto. Cinque capre, una incinta, pascolano nel terreno arido, il tutto al servizio della scuola. C’è anche il ricovero per animali e l’edificio della mensa: il cibo per i 400 bambini, previsto come contributo statale, non sempre arriva in modo regolare. 

Il mondo di Grace

Ci vuole la costanza di Grace, la direttrice che da un po’ ha preso il posto di un discusso e furbo capo istituto ora allontanato. Ma questa è un’altra storia africana, capitolo malversazione e appropriazione indebita.

Grace è minuta e gentile, pratica, molto paziente e devota sul lavoro. Ogni mattina arriva in questa landa dimenticata per gestire questa scuola, dai piccoli della pre-school fino al livello 8 (equivalente della terza media in Italia), i suoi 400 ragazzini, le 11 insegnanti e le tre di supporto. A scuola vengono anche sette bambini con handicap che si possono muovere in modo quasi autonomo. Chi sta peggio resta relegato nelle capanne senza luce dei villaggi sparsi sul territorio. Grace ha molto da fare con la burocrazia, deve spesso fare lunghe attese e viaggi inconcludenti e deprimenti alla sede del distretto scolastico o anche a Nairobi, alla ricerca delle piccole grandi cose che servono per una comunità scolastica. Una donna di buona volontà. Ora è soddisfatta perché dal piccolo e angusto ufficio dove sono accatastati fascicoli, libri della biblioteca e quel poco materiale didattico esistente, incluse le varie scrivanie, ci si trasferirà nell’edificio nuovo in muratura, tre stanze luminose, con finestre, ingresso e corridoio. Mostra orgogliosa le camere in gran parte ancora vuote, solo un tavolo e qualche sedia di plastica con la targhetta “Donated by Senator Philip Mpaayei“. Oltre la finestra passa una mandria di capre con giovanissimi pastori, ragazzini che non vanno a scuola. Alcune donne maasai dagli abiti multicolori parlano tra loro intorno alla grande cisterna. Suona la campanella della ricreazione e si aprono le porte delle affollate aule, la piana ventosa si trasforma e si anima con i giochi, le voci, le corse, le urla dei ragazzini. Le palle create con scarti di carta, reti, nastri e fili si incrociano con palloni mezzi sgonfi. La terra rossastra, intramezzata da arbusti dalla prodigiosa forza, regala a tutti la sua polverosa esistenza spalleggiata dalle raffiche di vento.

Le sorelle maasai

Ecco dove vanno a scuola Risper e Gladys, sorelle perché figlie dello stesso padre, maasai cristiano con doppia moglie e 17 figli. Hanno 13 anni e frequentano rispettivamente il settimo e sesto livello: ogni mattina scendono giù a piedi dalle due capanne di lamiera, costruite attorno al recinto degli animali, e in venti minuti sono in classe. In questo periodo avanti e indietro 4 volte al giorno, per mangiare. Le sorelle discendono a saltelli sui sassi e le grandi zolle, o si arrampicano per la strada scoscesa sotto il sole impietoso del mezzodì. Se piove? Dipende…Magari si salta il pasto.

Ma le scarpe sono essenziali. Lo dice anche Hanna, la mamma di Gladys. A volte scarpe rotte significano niente scuola.  

La storia e la “versione” delle sorelle Ndilai ruota intorno alla scuola e al diritto ad un’educazione di qualità. I Paesi dell’Onu, Organizzazione delle Nazioni Unite, nei cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) per il 2030 l’hanno individuato come Obiettivo 4. Così recita il primo traguardo: «Garantire entro il 2030 ad ogni ragazza e ragazzo libertà, equità e qualità nel completamento dell’educazione primaria e secondaria che porti a risultati di apprendimento adeguati e concreti».

E poi al punto 5: «Eliminare entro il 2030 le disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui le persone con disabilità, le popolazioni indigene ed i bambini in situazioni di vulnerabilità».

Bambine a scuola 

Risper e Gladys, in concreto, la raccontano così, con timidezza mista ad imbarazzo. Voce bassa, brevi frasi, una storia ripetuta forse tante, già troppe volte.

Risper: «Mio padre mi ha detto che quando sono nata è venuto qualcuno che mi ha messo un anello e voleva sposarmi. Mi avrebbe sposata al compimento dei miei 10 anni. Quando sono cresciuta mi hanno circonciso (intende la pratica della mutilazione genitale femminile: considerato un “rito di passaggio”, ndr) anche se io non volevo, ma mio padre ha deciso di farlo. Quando finirono la circoncisone quell’uomo venne e portò una grande pecora per macellarla. Allora sono andata con mia sorella dal capo villaggio Maasai e ho raccontato che mio padre voleva darmi in sposa e non mandarmi a scuola. Il capo villaggio è venuto qui a casa e mio padre ha allora deciso di farmi continuare la scuola, ma lui crede ancora che l’istruzione non aiuti»

Gladys: «Avevo 5 anni e mio padre voleva circoncidermi. Per lui noi dovevamo lavorare e pensare al bestiame, non voleva che andassimo a scuola. Voleva circoncidere me e mia sorella e voleva darci dei mariti. Così il capo è venuto a casa nostra e mio padre ha allora acconsentito a mandarci a scuola anche se continuava a dire che la scuola non ci potrà mai aiutare. Poi c’è stata una grande cerimonia con una pecora uccisa e il sangue bevuto. La pecora fa parte della dote. Sono i ragazzi grandi a uccidere la pecora. Al ragazzo viene data la frusta e alle ragazze la collana che simboleggia che sono promesse spose. Se non fosse intervenuto il capo saremmo già sposate. Al capo abbiamo chiesto di andare a scuola. Non è stato facile convincere mio padre ma alla fine ha ceduto e ha accettato».

Hanna (sei figli) madre di Gladys e Regina (11 figli), madre di Risper: «È vero, è venuto il capo villaggio per convincerlo a mandarle a scuola e non farle sposare. Noi ora siamo contente…»

Risper: «Cosa ho pensato di mio padre? Che stava seguendo la cultura maasai. Ma poi ha deciso di mandarci a scuola. Mia madre ha 7 maschi e 4 femmine. Certo che vedo le differenze: le ragazze non vengono curate. È importante prendersi cura. Ora mia madre si prende cura di noi in modo uguale ai maschi».

Gladys: «Voglio essere una persona migliore, voglio aiutare il villaggio e le ragazze della mia età. Perché anche io vedo le differenze: da piccola tutti i miei fratelli andavano a scuola e noi restavamo a casa. Così succede a molte ragazze nei villaggi che non vanno a scuola». 

Risper: «Ci sono già molte amiche o conoscenti che sono sposate e non vanno a scuola, non ci vanno più già a 10 anni. E rimangono incinta molto presto. Ma è sbagliato perché non puoi portare avanti la gravidanza troppo giovane e alcune circoncise sanguinano e muoiono anche». 

Il sogno del pilota 

Risper: «Della scuola mi piace molto scrivere e leggere, sia in inglese che in swahili. Mi è piaciuto molto un libro, The river and the source (Margareth A. Ogola, la recente storia del Kenya attraverso una saga familiare che attraversa quattro generazioni, libro del 1995 pluripremiato, ndr). Ma il mio sogno è essere pilota, perché a fare il pilota si guadagnano tanti soldi e a me piace volare. Tempo fa avevo parlato con una mia amica e lei mi aveva detto che voleva diventare un dottore ma io le dissi che volevo diventare pilota d’aereo. È il mio sogno…A mia madre va bene che io faccia il pilota, io non ho paura di volare».

Hanna, la madre di Risper, sorridendo: «Sì lo so che vorrebbe fare il pilota d’aerei. Ma i ragazzini cambiano. Prima, fino a poco tempo fa, diceva che voleva fare il medico».

Gladys: «Io sono molto brava a giocare a palla a mano e al calcio, me la cavo. Ma vorrei diventare pilota di aerei. Per aiutare le ragazze della mia età. Sì, forse mi piace anche guardare il mondo dall’alto». 

Gladys dice di non sapere che la sorella vorrebbe anche lei diventare pilota d’aereo. Non se lo sono mai detto tra loro. Quando lo viene a sapere si mette a ridere. Sù nel cielo, sopra le capanne dell’altopiano, due stanze buie con una brace sempre accesa ma senza una cappa per il fumo, passa l’ennesimo aereo, questo è un piccolo bimotore: è la rotta di avvicinamento all’aeroporto Wilson di Nairobi. Ne passano più di una decina al giorno su questa rotta. Proprio sopra le teste di Risper e Gladys.

Daudi, (David in swahili) il padre delle due tredicenni, sembra essere molto occupato con la sua motocicletta 125, va e viene dal piccolo accampamento dove si sono riversati anche i vicini incuriositi e dove razzolano bimbetti a piedi nudi, galline e capre. Capisce di essere al centro dell’attenzione, alla fine indossa anche lui l’abito rosso dei maasai e impugna il classico bastone. Le due figlie corrono nei campi a radunare le capre. Altri figli tornano alla capanna da scuola. Lui si prepara ad una foto di rito con tutta la famiglia, al tramonto, e si ripropone con una versione “adatta” alla situazione e agli interlocutori, tutta “progressista”. Dicono sia sensibile alle occasioni, uomo di grande fiuto. Chissà non ne esca un vantaggio da tutta questa storia? «Ho 68 anni. Ho due mogli e 17 figli. 11 più 6. Fa 17, no? Ho mucche e pecore. Ma non ho mai lavorato. Ora con la moto faccio solo dei trasporti. Mi metto sulla strada e aspetto la gente che ha bisogno di un passaggio per qualche scellino (la valuta kenyota, ndr). Sì l’istruzione è molto importante. Una buona educazione è molto importante. Per i ragazzi. E anche per le femmine. Tutti devono andare a scuola. Certo c’è la tradizione. Ma una buona istruzione significa un buon lavoro. Risper e Gladys sono delle brave ragazze. Io, sapete, sono anche nonno. Si, sono contento – sorride e si guarda intorno soddisfatto – Certo la scuola è importante. Molto, molto importante». 

Maurizio Paganelli

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